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Diabete di tipo 1 e 2: cos'è, sintomi e trattamenti

 07 settembre 2021
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 Categoria: Salute
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 Scritto da: admin
diabete

Da 80 anni gli scienziati cercavano metodi alternativi ad aghi e siringhe. Ora due tipi di insulina da inalare sono in sperimentazione in Italia, dove è anche iniziato un programma unico al mondo per i neonati a rischio


Colpisce tre milioni di italiani, oltre il cinque per cento della popolazione, ed è una delle malattie più studiate su scala mondiale. Del diabete infatti, in entrambe le sue due forme più conosciute, quella insulinodipendente (diabete tipo 1) e quella non - insulinodipendente (diabete tipo 2), non si sono ancora scoperte le cause scatenanti e una cura che possa migliorare la qualità della vita di chi ne è colpito.


Negli ultimi tempi, però, la ricerca sembra avere trovato delle strade molto promettenti sia dal punto di vista della prevenzione sia della terapia. Una missione che vede in prima linea anche gli scienziati italiani, che da un lato stanno sperimentando un nuovo tipo di insulina da somministrare per bocca, dall'altro hanno avviato un programma di controllo su vasta scala, unico al mondo, sui neonati a rischio di diabete.



Diabete di tipo 1: cos'è?


Il diabete di tipo 1 si verifica quando l'organismo non è più in grado di produrre l'insulina, l'ormone che permette agli zuccheri ingeriti con l'alimentazione di passare dal sangue alle cellule di organi e tessuti. Le cellule beta del pancreas, che secernono l'insulina, vengono distrutte da anticorpi scatenati in maniera suicida dallo stesso organismo.


Per questo chi ha il diabete del tipo 1 è costretto a ricevere l'ormone dall'esterno, per iniezione. Un tipo di terapia che si ripete dal 1921, quando fu isolato l'ormone in forma pura. Cure meno fastidiose, come quelle a base di pastiglie, non sono ancora state introdotte, perché l'insulina ha un basso peso molecolare e viene facilmente digerita dai succhi gastrici nello stomaco.


Oggi però gli oltre 115 mila malati di questa patologia in Italia possono cominciare a sperare in un tipo di cure più agevoli.



Micropompe o microinfusori per il diabete


Già da un paio di anni le nuove pompe a insulina, dette anche microinfusori, hanno cambiato lo stile di vita di molte persone.


Si tratta di apparecchi elettronici grandi come un pacchetto di sigarette, da allacciare alla cintura. Collegati al tessuto sottocutaneo dell'addome con un catetere sottile, evitano di doversi sottoporre più volte al giorno allo strazio delle iniezioni.


Attraverso il catetere in teflon il microinfusore inietta nell'organismo piccole dosi di insulina in maniera continuativa, proprio come fa un pancreas sano; inoltre permette di iniettare dosi aggiuntive a seconda delle necessità del momento.


Se un diabetico per esempio salta il pasto, o evita di ingerire carboidrati, che sono i principali fornitori di glucosio, oppure se fa sport, ha bisogno di meno insulina. Se mangia troppi zuccheri, pane, pasta o vegetali ricchi di carboidrati (patate, legumi, castagne), ne necessita di più.


Programmando il microinfusore di volta in volta in base al tipo di alimentazione o attività che si vuole seguire, l'apparecchio fa filtrare attraverso l'addome solo l'insulina richiesta.


La pompa per insulina non è certo la soluzione ideale, perché bisogna saperla programmare in maniera corretta e perché lega pur sempre la persona all'azione di un apparecchio.



Diabete: trattamento con insulina da inalare


Il vero passo avanti si chiama invece insulina da inalare. Si tratta della tradizionale molecola dell'insulina che oggi è stato finalmente possibile trattare e ridurre in forma liquida o in polvere, in modo da essere somministrata grazie ad apparecchietti aerosol o bombolette spray.


Una novità ancora in fase sperimentale, ma che in un paio di anni potrebbe migliorare sensibilmente la qualità della vita per i diabetici. Quando basterà portarsi in borsa un apparecchietto, pronto per l'uso, per coprire il fabbisogno di insulina nell'arco della giornata.


Attualmente sono allo studio due tipi di spray insulinici. Il primo agisce sulla mucosa della bocca; l'altro invece sull'epitelio polmonare (le cellule che rivestono gli alveoli polmonari). Entrambe le tipologie stanno dando ottimi esiti.


Il risultato è che tutte le grandi aziende farmaceutiche produttrici di insulina si stanno dando da fare in questa direzione. Uno degli ultimi ritrovati si chiama AERx e funziona come un aerosol portatile, con il boccaglio che ra cambiato a ogni uso.


Ogni capsula di liquido è l'equivalente di dieci tradizionali iniezioni di insulina, in maniera che il diabetico possa dosare la quantità di ormone da ricevere. La difficoltà maggiore di questo tipo di tecnologia è quella di fare in modo che venga inalato tutto il contenuto della dose prestabilita.


Per questo l'apparecchio dà un segnale acustico che detta la velocità e l'ampiezza del respiro che il paziente deve mantenere per evitare dispersioni di insulina. L'utilizzatore, quindi, non deve fare altro che lasciarsi guidare dall'apparecchio.


Dopo essere stato provato con successo sui malati di diabete di tipo II, il prodotto sarà sperimentato su vasta scala.


Accanto alle sperimentazioni di nuovi apparecchi e sistemi di somministrazione dell'ormone. le case farmaceutiche hanno da poco avviato anche fabbriche di insulina da inalare, per poter soddisfare le future esigenze. L'ormone per le iniezioni sottocutanee, infatti, non è adattabile alla somministrazione spray- e per avviare la commercializzazione degli apparecchi bisognerà disporre di grandi quantitativi di insulina in polvere o liquida.



Trapianto delle cellule del pancreas


Più drastica come cura per il diabete di tipo 1, ma più lontana nel tempo, è la sostituzione delle cellule beta del pancreas, quelle che secernono l'insulina. Trapianti di questo tipo si fanno già dalla fine degli anni `80, prelevando cellule pancreatiche da defunti. Senza però grandi successi.


Ora è allo studio la possibilità di trapiantare sull'uomo cellule pancreatiche animali, in particolare di suino. Il vero problema di questo tipo di interventi, però, è il rigetto che si verifica nel paziente. Se si pensa che già il diabete di tipo I è dovuto, fin dalla giovane età, all'autodistruzione delle cellule beta da parte dello stesso organismo (ciò che i medici chiamano risposta autoimmune), è evidente che il diabetico ha connaturato un meccanismo di rigetto verso questo tipo di cellule.


Il trapianto di cellule dello stesso tipo, siano esse di un donatore o di origine animale, rischia dunque di riattivare una seconda volta questo processo di autodistruzione, con tutti gli squilibri che ne possono derivare.



Diabete di tipo 2: cos'è?


Il diabete di tipo 2 o non - insulinodipendente è caratterizzato sia da una difficoltà del pancreas a produrre regolarmente insulina sia da una difficoltà delle cellule periferiche a ricevere l'insulina prodotta (è la cosiddetta «resistenza insulinica»).


Per questo i malati di diabete non - insulinodipendente presentano valori alti di glucosio nel sangue e allo stesso tempo valori alti di insulina. Questo tipo di diabete insorge soprattutto in età avanzata ed è dovuto a una causa genetica, non ancora del tutto chiara, e a fattori ambientali come l'obesità e la mancanza di attività fisica.


Finora per la cura sono stati usati farmaci ipoglicemizzanti, cioè che abbassano il valore di glucosio nel sangue. Ultimamente però è comparsa una nuova famiglia di farmaci: i glitazonici.


Questi, per la prima volta, agiscono nel cuore della malattia non facendo abbassare il glucosio nel sangue in maniera diretta, ma facendo aumentare il glucosio che le cellule periferiche possono accettare al loro interno, per poi utilizzarlo come carburante della attività cellulare. Il primo glitazonico, il troglitazone, aveva l'effetto collaterale di compromettere l'attività del fegato, rischiando di fare più danno che bene.


Il problema è stato però superato con una nuova molecola, il rosiglitazone. Questa sostanza, una volta ingerita, si annida presso il nucleo delle cellule. Da qui, generando una cascata di reazioni biochimiche, stimola i recettori dell'insulina, ovvero gli elementi che mettono in movimento i trasportatori degli zuccheri all'interno della cellula, favorendo l'ingresso del glucosio.


Il ruolo del rosiglitazone in sostanza è quello di amplificare il messaggio chimico, debole nei malati di diabete II, che stimola la cellula a richiamare il glucosio ancora in circolo nel sangue. Con il risultato che il processo di assorbimento degli zuccheri nelle cellule dei tessuti si normalizza. Questo farmaco ora è stato autorizzato anche in Italia, ma solo per ospedali e case di cura.



Come esaminare i valori della glicemia


Un'altra novità è quella dei sistemi di rilevazione dei valori della glicemia che non costringono il paziente a procurarsi la classica puntura sul dito per prelevare una goccia di sangue. L'unico sistema diagnostico non invasivo già in commercio si chiama Glucowatch.


Si tratta di un rilevatore di glucosio a batteria simile a un orologio che, applicato al polso, analizza il tasso di glicemia attraverso la traspirazione della pelle. Il sudore, infatti, è un ottimo specchio di quello che avviene a livello del sangue.


L'apparecchio ha una placchetta metallica nella parte inferiore e un display a pulsanti in quella superiore. Funziona così: la batteria emette una scarica elettrica che sollecita la traspirazione. Il sudore viene raccolto dalla placca in metallo e analizzato. Il display registra il tasso di glicemia e lo compara con i valori registrati nelle ore precedenti, avvisando con un allarme acustico la presenza di anomalie. Il prodotto, utile per i malati di diabete I e II, è stato commercializzato a giugno nel Regno Unito e non è ancora previsto un lancio nel nostro Paese.


Una tecnologia radicalmente nuova per l'analisi indolore della glicemia, ma ancora lontana dall'applicazione su vasta scala, è la risonanza magnetica. Se si inserisce una sostanza, in questo caso lo zucchero, in un campo magnetico, i nuclei atomici della sostanza vengono eccitati fino a rendersi misurabili.


Ovvero, introducendo la mano, il dito o un lobo di un orecchio del paziente all'interno di un campo magnetico, il tasso di zuccheri nel sangue lascia una caratteristica traccia interpretabile al computer.


Cessato il campo magnetico gli atomi delle varie sostanze tornano allo stato naturale di energia. Attualmente esiste solo un dispositivo di questo tipo, a Venice in California. I risultati delle sperimentazioni sono stati confortanti, ma i costi sono altissimi.



Progetto Prevefin: prevenzione del diabete


L'Italia, oltre che negli studi sull'insulina da inalare, è avanti per quanto riguarda la prevenzione. Infatti l'Italia è l’unica al mondo ad usare su vasta scala marcatori genetici per l'individuazione dei possibili futuri malati di diabete.


Il progetto, chiamato Prevefin, che riguarda solo i bambini appena nati, è già in corso ed è condotto dalle cliniche di varie università e istituti ospedalieri.


Per prima cosa si identificano i neonati con rischio di diabete, cioè che risultano positivi per un marcatore genetico, detto HL A DR3/DR4. Questi bambini, circa l'1,5 per cento sul totale, vengono curati preventivamente per un anno con vitamina D e, dopo l'allattamento, con un preparato a base di latte, privato di alcune proteine potenzialmente dannose.


La vitamina D infatti ha un effetto preventivo sul diabete di tipo I, mentre è stato dimostrato che alcune proteine presenti nel latte di vacca, come la betacaseina o la lattoglobulina, possono scatenare la risposta immunitaria squilibrata che porta alla distruzione delle cellule beta del pancreas. bloccando così la produzione di insulina.


Oltre a cercare di prevenire l'insorgenza del diabete, il progetto Prevefin otterrà un secondo risultato: realizzerà una banca dati, unica nel suo genere, sull'incidenza futura del diabete nel nostro Paese.


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