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Genotipo e fenotipo: scopriamo il nostro patrimonio genetico

 26 agosto 2021
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 Categoria: Salute
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 Scritto da: admin
genotipo e fenotipo

Parliamo di genotipo e fenotipo e quindi del patrimonio genetico di un individuo che può rivelare la sua predisposizione alle più diverse malattie e nel prossimo futuro anche l'intelligenza o la tendenza al consumo di droghe. Fino a che punto sono attendibili questi esami? E sono accettabili da un punto di vista etico? Lo spiegano due famosi genetisti.


Malattie come tumori e infarto, anomalie mentali presenti alla nascita nascita, ma anche l'intelligenza, la facilità a diventare tossicodipendenti, lo spirito di avventura, perfino la maggiore o minore propensione a essere felici: è vero che tutto ciò è scritto nei nostri geni?


In altre parole, sarebbe possibile sapere già alla nascita o addirittura nella vita fetale, con opportune analisi di laboratorio, quale sarà il nostro destino e quali le nostre reazioni davanti alle incognite dell'esistenza?



Genotipo e fenotipo: la predisposizione eriditataria


Le ricerche sulla predisposizione ereditaria a contrarre malattie o perfino a sviluppare un particolare carattere hanno compiuto negli ultimi anni passi da gigante e questa prospettiva viene ormai considerata sempre più reale. Non passa giorno senza che i giornali informino sulla scoperta di un nuovo gene legato a questa o quella malattia o a uno stato d'animo.


Ma fino a che punto i geni, cioè le 70-80mila unità di base del nostro patrimonio ereditario, sono davvero rivelatori di una predestinazione ineluttabile? Non ci resta dunque più alcun arbitrio nel nostro sviluppo intellettivo e sociale e nel nostro presente e futuro stato di salute?


Le tecniche di analisi del Dna, la molecola a forma di elica presente in ogni nostra cellula e le cui "sezioni" formano i geni, consentono oggi di analizzare in modo preciso e dettagliato tutte le variazioni del codice genetico (il genoma) di un individuo.


La ricerca di queste variazioni ha fornito un enorme contributo alla diagnosi di molte malattie ereditarie e consentito di attivare programmi di prevenzione basati sulla diagnosi prenatale e sulla identificazione delle persone a rischio.


Malattie come la talassemia e l'emofilia (anomalie del sangue), la fibrosi cistica (che provoca gravi problemi respiratori), l'atrofia muscolare spinale (degenerazione delle cellule motorie del midollo) e il ritardo mentale legato al cromosoma X, vengono diagnosticate valutando le differenze delle singole "lettere", cioè le quattro molecole di base ripetute miliardi di volte nel Dna.


Lo sviluppo di questa tecnologia ha tuttavia dato origine a un vero e proprio "accanimento diagnostico". Finalizzato alla ricerca, nel Dna, della risposta a ogni malattia e a ogni caratteristica umana. Di fatto, la rapidità con la quale si sta dipanando la matassa del genoma umano offre la possibilità di applicare su larga scala i test genetici, che in certi casi vengono utilizzati in maniera indiscriminata, senza essere stati preventivamente sottoposti a sperimentazione e validazione clinica.



Test genetici: pro e contro


Come dicevamo i test genetici vengono utilizzati indiscriminatamente e soprattutto senza la possibilità di fornire ai potenziali utenti i necessari chiarimenti sulle potenzialità e i limiti dell'indagine. Tanto che stanno crescendo a dismisura i laboratori, i centri diagnostici e le ditte che forniscono kit di pronto uso, da utilizzare in casa senza il necessario filtro del medico e i minimi requisiti professionali ed etici.


C'è allora da fidarsi dei responsi di questi oracoli del terzo millennio? I test genetici consentono alla persona di ottenere informazioni delle quali probabilmente non sarebbe mai venuta a conoscenza. Il risultato di un test genetico inoltre, non è confinato al soggetto in esame, ma si ripercuote sui familiari e potenzialmente anche sulle generazioni future.


Un test inutile e non necessario potrebbe condizionare la vita affettiva e sociale relazione dell'individuo, dei suoi familiari e talvolta del gruppo etnico al quale appartiene.


Oggi è possibile individuare nel Dna di ogni persona la presenza di variazioni geniche che predispongono a malattie delle quali spesso non si conoscono le cause, la sintomatologia e soprattutto la terapia. La ricerca di queste variazioni consente dunque di identificare gruppi di persone che ancora non manifestano sintomo di malattia e che possiamo classificare come malati potenziali.


Alcuni ricercatori americani definiscono queste persone "non pazienti", hanno cioè una certa propensione ad ammalarsi, ma non sono pazienti nel senso tradizionale del termine e quindi non vengono curati. Tuttavia queste persone non sono neppure completamente sane, o meglio non sono esenti dal rischio di sviluppare una determinata malattia.


Infatti, contrariamente a quanto si pensa, non è sempre possibile stabilire una relazione univoca tra un gene (o le sue variazioni) e una specifica malattia. Non è detto insomma che un singolo gene alterato conduca necessariamente a sviluppare un tumore o un comportamento ansioso. Per alcune malattie accade, per altre no.



Test genetici presintomatici e predittivi


Molti test genetici sono oggi classificati come presintomatici, altri come predittivi (o di suscettibilità). Un test presintomatico permette di identificare una mutazione del codice genetico responsabile di una certa malattia in persone che ancora non manifestano alcun sintomo.


Come la corea di Huntington (caratterizzata da incessanti movimenti a scatto e deterioramento mentale), la distrofia miotonica, la fenilchetonuria (disturbo del metabolismo). Questo tipo di accertamento viene di solito applicato nelle famiglie a rischio, dove già sono presenti determinate patologie, per individuare le persone che si ammaleranno in futuro.


Un risultato positivo di un test predittivo consente di diagnosticare una malattia quando ancora non sono comparsi i sintomi. E se applicato in modo corretto, può risultare fondamentale per la prevenzione di gravi patologie ereditarie.


Maggior cautela deve essere riservata invece ai test genetici predittivi o di suscettibilità perché il risultato è ancora di natura probabilistica e fornisce solo il rischio di malattia di una persona rispetto a quello della popolazione.


Molte malattie comuni, come quelle cardiovascolari, il diabete, l'obesità, la demenza, l'epilessia, il cancro, l'anovulazione (cicli mestruali senza ovulazione), la dislessia (incapacità di leggere o capire un testo scritto pur comprendendo ogni singola parola), l'enuresi notturna (perdita involontaria e ripetuta delle urine durante il sonno), l'autismo (disturbo del comportamento), l'asma bronchiale, la depressione, la psoriasi (malattia cronica della pelle) e perfino la dipendenza dalla cocaina hanno una base genetica importante, cioè sono correlate a particolari variazioni geniche.


Ma è difficile e certamente prematuro, allo stato attuale, voler attribuire a queste variazioni un preciso valore di rischio, che comunque varia in rapporto alla conoscenza dello specifico gene, alla sua struttura e alla sua funzione.


Oltretutto un gene non è un'entità isolata e immodificabile, ma è parte integrante del genoma di una persona. È possibile infatti che una variazione genetica in una persona determini un certo effetto, mentre in altri individui abbia un esito del tutto irrilevante.


È al riguardo già relativamente ampia l'esperienza sulla predizione del cancro della mammella e dell'ovaio basata sull'analisi dei geni BRCA1 e BRCA2. Prendiamo il caso di una donna giovane, la cui madre e la nonna materna sono state colpite dal tumore. Senza effettuare alcun test, questa donna ha una probabilità del 40 per cento di sviluppare a 70 anni un tumore della mammella e del 25 per cento di sviluppare un tumore dell'ovaio.


La stessa donna, in presenza di un test genetico positivo, ha un rischio dell'80 per cento di tumore della mammella e del 45-60 per cento di tumore dell'ovaio. Un risultato negativo del test, invece, riduce il rischio per la mammella al 6 per cento circa (valore che corrisponde al rischio di tutta la popolazione) e per l'ovaio all'1 per cento.


Questi risultati consentono di diversificare le scelte delle pazienti nei confronti di trattamenti profilattici, compresa l'asportazione preventiva della mammella e dell'ovaio, la farmaco-terapia e i controlli periodici. Secondo uno studio americano, il 43 per cento delle donne che appartengono a famiglie a rischio hanno dichiarato di essere interessate a questo tipo di test.


Altri esempi riguardano il tumore della tiroide e il carcinoma familiare del colon e del retto. In queste situazioni il test genetico, entro certi limiti, anticipa i sintomi. E gli interventi successivi alla diagnosi precoce consentono di modificare la storia naturale della malattia.


Tuttavia è importante precisare che un risultato negativo di un test genetico esclude o riduce significativamente il rischio di sviluppare una specifica malattia soltanto nelle persone che appartengono. alle famiglie a rischio.


Cioè famiglie in cui è stata dimostrata l'ereditarietà di quella malattia e quindi della mutazione responsabile di essa. È infatti possibile che alcune mutazioni non vengano individuate oppure che la malattia sia dovuta a geni diversi. Tornando al caso dei tumori della mammella, circa 1'85 per cento di essi non è attribuibile a mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 ma ad altri geni non ancora scoperti.



Siamo tutti schedati in base al patrimonio genetico?


La valutazione dei rischi di suscettibilità delle variazioni genetiche di un individuo verrà certamente migliorata nei prossimi anni con il progredire delle tecnologie molecolari. È già una realtà la tecnica del genechip che consente l'analisi simultanea di migliaia di geni e non solo a livello del Dna, ma anche delle molecole prodotte dai singoli "pezzi" di esso.


In questo modo sarà anche possibile esaminare gli effetti provocati da determinate variazioni del Dna. Lo sviluppo e la diffusione su larga scala dei test genetici potrà però avere ripercussioni negative.


Un potenziale rischio è quello della ghettizzazione delle persone ritenute a rischio di determinate malattie. Potrebbero essere discriminate nel lavoro, nel campo assicurativo e persino in quello riproduttivo. Ciò porterà all'esigenza di nuove norme legislative e di nuovi rapporti sociali tra le persone.


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