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Timidezza: quali sono le cause e come combatterla

 03 luglio 2018
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 Categoria: Psicologia
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 Scritto da: admin
timidezza

Un segnale più visibile della timidezza è dato da tutte le gradazioni possibili del rosso, colpa dell'improvviso afflusso di sangue ai capillari del volto e conseguenza diretta dell'attivazione del sistema nervoso simpatico in risposta a uno stimolo esterno, sia la presenza di una bella ragazza o quella del capo.


Gli esperti la chiamano anche "inibizione sociale", gli altri, le vittime, parlano più semplicemente di timidezza. Una reazione estremamente soggettiva che può colpire chiunque.



Quali sono le cause della timidezza?


Però nessuno nasce timido. La timidezza si sviluppa infatti fra i 15 e i 17 mesi quando il bambino diventa cosciente di se stesso. Da quel momento in poi a fare la differenza sono le esperienze personali e l'educazione ricevuta dai genitori, fonte principale delle inibizioni sociali.


Uno studio ha mostrato che il 40 per cento dei 240 timidi intervistati ha considerato i fattori familiari come la principale causa della loro condizione, e solo il 20 per cento l'ha attribuita a qualche inadeguatezza personale (problemi socioeconomici, aspetto fisico e così via).


Il divorzio dei genitori e l'affidamento a uno dei due, l'atteggiamento ipercritico o iperprotettivo di mamma e papà, le lacune nell'insegnamento o le frustrazioni che si accumulano nell'infanzia e nell'adolescenza: tutti questi elementi possono avere effetti negativi sulla timidezza.


Ad aggravare la situazione sono nuovamente gli stessi genitori che, etichettando il loro bambino come timido fin da piccolo, ne frenano gli sforzi per uscire da questo guscio e aprirsi in atteggiamenti sociali più espansivi.



Superare la timidezza: basta una esposizione progressiva


Come aiutare chi soffre di timidezza? Prima di tutto usando la tecnica dell’ esposizione progressiva alle situazioni estranee al nucleo familiare: più le esperienze sociali del bambino sono varie, maggiori sono le possibilità che anche da grande si trovi a suo agio in contesti differenti.


Per vincere le sue resistenze si può portarlo più volte nello stesso parco così da rendergli familiare prima l'ambiente, poi le persone che lo frequentano.


Una conferma che la timidezza non è una caratteristica innata viene da uno studio che rivela che solo un bambino su cinque ha inibizioni sociali, mentre circa il 43 per cento degli adulti si definisce timido.


Fatto il danno, non resta che cercare di comprendere i meccanismi. Si pensa che nella maggior parte dei casi l'inibizione sociale è dovuta a un'esagerata importanza data al giudizio altrui unita ad una eccessiva severità nel valutarsi.


Dal punto di vista fisiologico, il corpo interpreta questo stress come paura o timore di un giudizio negativo e reagisce con l'atteggiamento definito: fight or flight (combatti o scappa): si arrossisce, sudano le mani, ci si guarda intorno.


Tale reazione deriva direttamente dalla nostra evoluzione e prepara il corpo ad affrontare il pericolo, che oggi non è più rappresentato dai predatori, ma dal disagio psicologico verso situazioni nuove che possono metterci al centro dell'attenzione.


Per esempio, una riunione o una festa con persone mai viste prima. Così, bisogna esercitarsi a ridimensionare progressivamente l'importanza che diamo a noi stessi.


Concentratersi di più sugli altri permetterà di vincere la paura del giudizio negativo. Per questo motivo si consigliano impegni che richiedano nuovi rapporti sociali: un'attività di volontariato o un impiego part time in un call center, per esempio.



Timido o spigliato? Il gioco è nei tempi


C'è un'altra caratteristica che contraddistingue molti timidi: la fatica mostruosa nel compiere il classico primo passo. Per superare questo ostacolo, suggeriscono gli esperti, bisogna espandere il proprio spazio di agio rappresentato da persone, luoghi e attività che ci sono familiari.


Non bisogna scoraggiarsi e pensare che in realtà la differenza tra un timido e uno spigliato è solo una questione di tempo, quello impiegato per adattarvi al nuovo "spazio di agio". Succede proprio come in un trasloco: per abituarsi alla novità serve un periodo di rodaggio più o meno breve a seconda delle abitudini.


Quindi si può applicare tranquillamente a noi stessi l'identica strategia consigliata ai genitori di bambini timidi: prendere contatto gradualmente con luoghi diversi, sforzandosi di familiarizzare prima con l'ambiente e poi con le persone.


Del resto le occasioni non mancano, pensate a tutti i luoghi che frequentate, la palestra, l'ufficio, il supermercato, e sfruttate la familiarità che avete con essi per provare a estendere la vostra disinvoltura dallo spazio alla gente.



Introversi o impacciati?


Attenzione, però a non confondere la timidezza con l'introversione. Ci sono persone molto impacciate fra le mura di casa che si trasformano in vere e proprie tigri a scuola o in ufficio: sono i timidi estroversi.


E c'è chi ha un carattere solitario ma non teme il rapporto sociale, quindi è un introverso ma non necessariamente anche timido. Secondo alcune ricerche anche se introversione e impaccio sociale spesso vanno di pari passo, non è affatto raro trovare dei timidi estroversi. Questi si sentono a proprio agio in situazioni che richiedono ruoli e compiti stabiliti (come succede in un ufficio), ma si trovano in difficoltà quando una situazione rilassata può far emergere la loro timidezza.


Non lasciatevi quindi ingannare dall'atteggiamento pigliato di qualche compagno o collega: è possibile che fuori orario si trasformi anche lui in un agnellino in difficoltà.



Quando il freno è la paura di fallire


Sembra un paradosso, ma c'è anche una categoria di persone la cui timidezza non deriva da scarsa autostima, bensì da un eccessivo orgoglio che porta a non volersi misurare per paura che qualcun altro sia comunque più bravo.


Viene denominata timidezza della mente, molto simile al pessimismo. In questi casi si tende ad attribuire un successo personale a un colpo di fortuna o a un'occasione felice ma favorita da altre persone, mentre si è pronti ad assumersi la totale responsabilità in caso contrario.


Un'interpretazione negativa che può avere pesanti conseguenze sul comportamento: si evita il confronto, persino nelle piccole sfide di tutti i giorni, come una partita di calcio tra colleghi o uno scherzo organizzato con gli amici.


I timidi si considerano dei perdenti. Si aspettano molto da loro stessi, ma nel timore di fallire non provano nemmeno. Nonostante questo, spesso rimane in loro un rimpianto per non aver agito.


Trasformare la timidezza in affermazione sociale non significa necessariamente camuffarsi improvvisamente in persone disinvolte: il "timido vincente" è colui che conosce l'origine della propria timidezza e perciò è in grado di tenerla sotto controllo.



Chattare può servire, ma...


Se poi cercate un aiuto in più, provate con Internet, potente strumento per rompere il ghiaccio e intraprendere nuove relazioni sociali. Perché, spiegano gli esperti, uno degli atteggiamenti tipici è quello di identificare il primo passo solo con la vicinanza fisica.


In discoteca, per esempio, il timido cerca di stare il più vicino possibile alla persona che vuole avvicinare, attendendo pazientemente un evento che possa aiutarlo a compiere il fatidico passo. Quasi sempre, però, resta solo la delusione per la propria mancanza di coraggio.


Lo stesso atteggiamento è alla base delle infinite conversazioni in chat ed e-mail condotte da persone che generalmente hanno qualche inibizione sociale: secondo una ricerca lo strumento informatico è in grado infatti di fornire quella prossimità (anche se solo virtuale) ricercata dal timido per fare nuove amicizie e conquiste amorose.


Viene definita estroversione elettronica, cioè la ricerca smaniosa di contatti sociali attraverso Internet. Oltre il 40 per cento dei timidi passa diverse ore la settimana alla ricerca di nuove relazioni in chat e più tempo si trascorre su Internet, più intimi diventano gli argomenti di discussione.


Ma questa strategia da sola non è efficace: i dati raccolti testimoniano infatti che l'anonimato delle chat, pur favorendo inizialmente il contatto, tende con il passare del tempo a far nascondere ancora di più il timido dietro false identità.


Nonostante l'obiettivo sia quasi sempre quello di intraprendere relazioni che poi diventino assolutamente reali, le false personalità costruite in chat finiscono quasi sempre per non portare all'obiettivo sperato, lasciando “l'estroverso elettronico” solo con il suo computer.


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